…I MIEI “ULTIMI CIAK” CON FEDERICO …

 

TESTIMONIANZA DI MARIO MALDESI

 

A cura di

VALENTINA CIDDA MALDESIl

 

 

- L’ultimo ciak -

- Memorie di un trasteverino -

- Per un “doppiaggio dell’interiorità”: una semplice ma  radicale scelta di indirizzo -

- Un balzo indietro di oltre mezzo secolo -

- A misura di leggenda -

- Dal palcoscenico alla sala di doppiaggio: alla guida di una feconda e duratura -

conquista del microfono…

- All’alba di una lunga collaborazione -

- A cielo aperto -

- Con Fellini in sala di doppiaggio -

- Un doppiaggio divertentissimo: Amarcord…qualche piccola trovata -

- La parlata di “Ronald Colman” -

- Tanto per giocare -

- Una terribile gaffe -

- La versione francese di Amarcord -

- Una impossibile collaborazione -

- Verso la riconciliazione -

- Un attacco di panico da “superstizione” -

- L’appello di Giulietta -

- L’incarnazione delle voci: il potere di un illusione -

- L’ultima magia -

- “Un’ autre aventure française“ - 

- Un grande dono -

 

 

  

…“l’ultimo ciak”…

 

Sebbene per convenzione, abitudine e comodità si tenda generalmente a racchiudere sotto il termine “doppiaggio” tanto la trasposizione da una lingua ad un'altra propria dei film stranieri, quanto la creazione delle colone dialogo dei film italiani, sarebbe più appropriato mantenere la definizione di doppiaggio per i primi e parlare di post-sincronizzazione per i secondi. 

Durante questa fase di post-sincronizzazione infatti, è la tecnica del doppiaggio che viene utilizzata per la creazione di una colonna sonora ancora inesistente o comunque bisognosa di perfezionamento per la legittima completezza del racconto filmico vocale.   

L’opera straniera arriva in sala di doppiaggio perfettamente finita in tutte le sue parti e accompagnata dalla “colonna internazionale” (musica ed effetti).

L’opera italiana, al contrario, nel momento in cui giunge alla fase di post-sincronizzazione è ancora incompleta, ancora sospesa nel limbo delle innumerevoli possibilità…!

Ora è molto meno frequente ma ricordo che mi è capitato più volte di dover eseguire dei doppiaggi su “montaggi larghi” dei quali non si conoscevano ancora le sorti finali con esortazioni del tipo: ”Doppiamo tutto, vediamo che esce fuori…poi decidiamo cosa tagliare…!” 

Quindi, mentre per il film straniero, l’operazione doppiaggio è esclusivamente

“di servizio”, affidata al solo direttore di doppiaggio, per il film italiano assume una forma creativa, che prevede la presenza dell’autore in sala a tempo pieno.

In questo caso, il regista, è l’unico definitivo responsabile e, il direttore di doppiaggio, un collaboratore fondamentale per il buon esito della creazione di una colonna sonora senza la quale, quello specifico film, in quel suo specifico aspetto narrativo, non esisterebbe affatto.

Molto spesso, i registi italiani con i quali ho lavorato, arrivavano al momento della post-sincronizzazione esausti per le spossanti riprese, sempre inesorabilmente gremite di problemi da risolvere, e avevano una più che comprensibile voglia di decretare la fine della loro fatica.

Inoltre, probabilmente, il loro pensiero si avviava già verso il film successivo…

La scelta del direttore di doppiaggio, quindi, anche per questa ragione, si indirizzava verso un professionista che godesse appieno della loro stima e della loro fiducia.

 Fellini, tra tutti, era quello che arrivava più stremato in sala di doppiaggio, ma, nello stesso tempo, era paradossalmente il più resistente…

Federico sapeva bene, dato il suo modo di girare per nulla sistematico e organizzato, che tutto era ancora possibile, che avrebbe ancora potuto scoprire un sacco di dati nuovi e interessanti sui suoi personaggi…che forse mai quanto durante il doppiaggio i suoi personaggi gli avrebbero raccontato chi erano e cosa avevano da dire…insomma, sapeva, non solo che il lavoro che restava era ancora tanto, ma anche che si trattava di un lavoro decisivo.

“Forza Federico! Questo è l’ultimo sforzo che ti resta da fare! E’ l’ultimo ciak!” gli dicevo ridendo. E’ così che ho sempre chiamato la post-sincronizzazione dei film italiani che ho diretto.

 

 

...memorie di un Trasteverino…

 

Forse, oltre alla mia professionalità e al rispetto assoluto che nutrivo per la poetica propria del regista con cui lavoravo, Federico amava di me la mia “romanità”…il fatto che infondo fossi un Trasteverino, uno di quei “romani de Roma” che trasudavano aneddoti e storie piene di quell’ ironia assieme sfrontata e dissacratoria che caratterizza da sempre l’anima della città.

A Fellini piacevano molto i racconti che facevo ogni tanto della mia giovinezza, della vita di quartiere, delle avventure buffe e grottesche di bande di ragazzi trasteverini.

Molte delle battute del film Roma, specie quelle dell’ Ambra Iovinelli, sono per l’appunto una elaborazione, anche piuttosto fedele, di questi miei racconti.

Avevo sedici anni, i miei amici ed io andavamo spesso al cinema in uno di quei “pidocchietti”, come dicevamo noi, che si chiamava proprio “CINEMA TRASTEVERE” e si trovava all’angolo tra Viale Trastevere, (Viale del Re a quel tempo), e Via Ascianghi, a ridosso del  Ministero della Pubblica Istruzione. Credo che ora, al posto di quel Cinema, abbiano costruito una Casa di Riposo per anziani.

Ricordo che un Pomeriggio in cui eravamo andati a vedere “La morte in vacanza” con Frederik March entrò una prosperosa bruna trentenne sola e si mise seduta vicino al mio amico.

Nel tentativo di attaccare discorso, tenendo tra le dita una sigaretta spenta

Sussurrò con voce suadente: “Che je dispiace se fumo?”

Al ché lei, ad alta voce, guardandolo dall’alto in basso: ”Pe’ me poi annà pure a fôco!”. Tutti si voltarono a guardarci. Nel buio, prontamente, cambiammo posto. Questo genere di battute erano preziose tra le mani di Fellini. La storia che ho appena accennato è molto simile alla sequenza dei Vitelloni in cui Franco Fabrizi, al cinema con la mogliettina, fa il cascamorto con la femme fatale con la veletta.

Ero diventato un habituè anche dell’avanspettacolo sia al Cinema Teatro Volturno che al Cinema Lamarmora, in Via Natale del Grande. Una sera comparve una cantante palliduccia, tanto magrolina che le si contavano le ossa, che sussurrò al microfono, con un filo di voce:  “E ora canterò Penso a te!”

E una voce robusta dal pubblico, con tono paternamente preoccupato :”Ma pensa alla salute…a’ fregnona!”

L’orchestrina strimpellava già le prime note…

Anche per le sue comparse Fellini amava scovare personaggi impregnati di romanità e unici nella loro essenza umana, come quel tipo che Federico utilizzava spesso, “Il Chiodo”. Al quale io, vedendolo comparire per un film e scomparire continuamente per tempi piuttosto lunghi, chiedevo

 “…sei sparito! Ma che t’è successo?!”

E lui: “Niente…un malinteso! Tre mesi…”

Era un habituè di Regina Coeli

 

 

…per un “doppiaggio dell’interiorità”: una semplice ma radicale scelta di indirizzo…

 

I così detti doppiatori si dividono in due categorie. La prima di queste  è costituita da coloro che nascono e si formano in sala di doppiaggio, e lì trascorrono tutto il tempo della loro “professionalità”, la seconda, invece, è costituita dagli attori che, solo saltuariamente, si dedicano al doppiaggio. Alternano questa attività all’attività primaria dell’attore: quella del palcoscenico.

Mi sono sempre battuto per utilizzare nei film che ho diretto gli attori inclusi nella seconda categoria.

Si tratta di una semplice ma radicale scelta di indirizzo che mi rende fautore di un “doppiaggio dell’interiorità”, più facilmente realizzabile con il contributo di voci prese in prestito al teatro. Il doppiatore, come lo definisce il mio amico Oreste Lionello, è un meraviglioso “acrobata”, al leggio estremamente veloce e sicuro di sé, tuttavia, probabilmente anche per l’ossessivo ed esclusivo impiego vocale in questo settore, presenta un’ usura che gli rende più difficile e faticoso uscire da se stesso per incarnarsi effettivamente nell’ individualità del personaggio del racconto filmico.

Inoltre, le voci dei doppiatori, sentite e risentite, (pur accontentando spesso l’orecchio viziato del pubblico, che ad esse è abituato), trascinano l’unicità di un film d’Autore, in una offuscante “serialità”.

Questa mia scelta di indirizzo mi ha recato da una parte una buona dose di riconoscenza e gratificazione, dall’altra una discreta quantità di risentimenti e rancori…sono sempre stato convinto che si debba anteporre, a tutte le possibili questioni di amicizia, convenienza o quant’altro, il dovere di rispettare appieno l’opera filmica e di restituire ad essa la verità espressiva dei suoi personaggi nel modo più fedele possibile. E’ ovvio che le mie scelte rispondono ad un punto di vista del tutto soggettivo, al mio personale modo di sentire e di svolgere in coscienza una professione alla quale ho dedicato un’ intera esistenza.

Sono grato al mio primo maestro, Franco Rossi, per avermi aiutato a capire fino in fondo l’importanza di questa prospettiva e a definirne radicalmente il metodo di scelta e direzione delle voci ma, d’altro canto, non posso negare che la mia radice di attore mi abbia aiutato enormemente e abbia spianato il sentiero ad una professione che porto avanti da più di cinquant’anni.

…un balzo indietro di oltre mezzo secolo…

 

Cominciai con la radio, subito dopo la liberazione di Roma, quando c’erano ancora gli americani in via Asiago e si entrava con il pass degli Yenkees.

Nel 47-48 tenni una rubrica di arte dialettale romanesca, diretta da Nino Meloni. Andavo da Trilussa, nella sua casa magica in via Maria Adelaide, e lui mi dava dei sonetti inediti. Me li leggeva personalmente e poi, a mia volta, io li leggevo e li commentavo alla radio.

La stessa cosa facevo con Augusto Iandolo nel suo impero di antiquario di Via Margutta.

In via Asiago erano arrivati in massa un bel gruppo di Napoletani! Peppino Patroni Griffi, Raffaele La Capria, Ettore Giannini, Francesco Rosi. Il capo dell’ufficio prosa era Edoardo Anton. Ricordo anche Vittorio Veltroni, funzionario simpaticissimo e un ragazzino curioso che girava sempre per i corridoi dichiarando di voler fare il giornalista, il presentatore…e finiva sempre per essere spedito a comprare le sigarette…quel ragazzino era Lello Bersani.

E poi c’erano tutti i nuovi registi della radio, Guglielmo Morandi, Anton Giulio Majano, Pietro Masseroni Tarocco, Giandomenico Giugni, Luigi Squarzina e Franco Rossi che arrivò da Firenze qualche tempo dopo e divenne in seguito il mio maestro per il “doppiaggio”.

Ben presto, dopo la pausa dovuta alla guerra, ripresi a frequentare anche il Centro Universitario Teatrale ed entrai nella compagnia del Teatro Ateneo al fianco di Carlo Ninchi, Carla Bizzarri, Nico Pepe, Gabriele Ferzetti e Giulietta Masina e, successivamente, recitai al Teatro dei Satiri con Sergio Tofano, Ave Ninchi, Renzo Giovanpietro, Monica Vitti, Cesarina Gherardi e altri. E ancora nella Compagnia del Teatro Nazionale, diretta da Guido Salvini, recitai con Antonio Crast, Salvo Randone, Massimo Girotti, Vivi Gioi, Giancarlo Sbragia, Gianni Bonagura, Edda Albertini, Stella Aliquò. Con la compagnia del Teatro Antico feci diversi spettacoli al Teatro Greco di Siracusa, (tra cui “Edipo a Colono”). Al Festival del Teatro a Venezia, ero attor giovane ne “La Vedova” di Renato Simoni, con Emma Grammatica, Luigi Cimara, Memo Benassi, Paola Borboni, Cesare Polacco, Antonella Vigliani, per la regia di Anton Giulio Bragaglia.

Conoscevo personalmente tutti gli attori, le loro personali e più specifiche caratteristiche, Con il passare degli anni proprio queste conoscenze personali, in altre parole questa vasta “miniera” alla quale ero in grado di attingere con disinvoltura, sono diventate la forza della distribuzione dei ruoli nei miei doppiaggi e mi hanno aiutato a portare avanti un lavoro specializzato dal quale sono stato abbondantemente gratificato…

 

 

…a misura di leggenda…

 

Al di là di una doverosa operazione di recupero e resa dei personaggi del racconto filmico, con le loro specifiche caratteristiche di espressione, il doppiaggio è un gioco basato su un rigoroso sistema di regole formali, fondato sull’ aderenza vocale e sul rispetto del sinc labiale ed espressivo.

Come tutti i buoni regolamenti che si rispettino anche quello del doppiaggio può esser violato. Fellini fu, in questo senso, un eccezionale trasgressore!

Se Visconti, De Sica, Rosi, Monicelli, Zurlini, Petri ecc. erano molto attenti al rispetto delle suddette regole formali, Fellini non se ne preoccupò mai più di tanto, al contrario, spesso si compiaceva nel violarle.

Insomma, durante la lavorazione dei suoi film ci si potevano permettere cose altrove inimmaginabili e inammissibili.

Ci si imbatteva sovente in un uso spropositato di battute incastrate, aggiunte, inventate al momento, fuori sinc!

“Il sinc è solo un’ opinione!” mi diceva.

Comprendevo e condividevo il pensiero di Federico: quando un attore sta effettuando una corretta comunicazione del pensiero del personaggio - e della relativa emozione che da esso scaturisce - mette in ombra qualsiasi piccola eventuale imperfezione formale. Certo, se si può avere perfetta comunicazione vocale e perfezione formale si raggiunge il massimo risultato possibile.

Questo atteggiamento con cui Fellini affrontava la fase di post-sincronizzazione dei suoi film è indubbiamente innegabile, tuttavia, anche questa realtà di fondo ha costituito le basi per una buona dose di leggenda!

Una delle storielle in cui ci si imbatte più di frequente è quella dei famosi fogliettini scritti all’ultimo momento e recapitati agli attori al leggio davanti al microfono. Ora, può darsi benissimo che sia capitato in particolari momenti e per specifiche sequenze di qualche film di servirsi di questi fogliettini ma si trattava di eccezioni non della regola. Altrimenti si potrebbe pensare che tutti i film di Fellini fossero recitati esclusivamente sulla base di numeri o altre stravaganze e che nessun attore, sotto la regia di Federico, avesse recitato autentiche battute durante la presa diretta.

La recitazione coi numeri riguardava al contrario casi particolari, sempre relativi alle prestazioni di attori presi dalla strada, interpreti di piccoli ruoli, per i quali l’espediente dei numeri diventava una semplificazione efficace. Uno di questi casi d’eccezione è sicuramente il  racconto del proprietario del ristorante “Il Moro” che recitò nel film Satyricon e che però, invece dei numeri, preferì declamare uno dei suoi menù.

Del resto, se questa pratica forsennata dei fogliettini al doppiaggio corrispondesse al vero è probabile che qualcuno oggi ne possederebbe qualche esempio, che l’avrebbe custodito gelosamente come io custodisco i disegni di Federico o i copioni scarabocchiati e ricchi di battute aggiunte e accavallate  e di x da me ben marcate che segnavano le parti di incisione già effettuate. Invece io, di questi fatidici fogliettini, non ne ho mai avuto uno…il ché, obbiettivamente, pare curioso dato che essendo io il tramite tra il regista e l’attore è prima di tutto a me che Fellini si rivolgeva per indicare le eventuali correzioni sulle battute.

Accadeva talvolta che uno stesso personaggio con poco dialogo, a seguito di una parziale insoddisfazione o incertezza del regista, venisse doppiato per due volte con due diversi attori.

Qualcosa di simile dev’essere successa in occasione del film “Roma” di Fellini.

Purtroppo, spesso, rimettere insieme i “vetri sparsi della memoria” non è affatto un’impresa facile e, di conseguenza, ho fatto una certa fatica per ricordare come effettivamente andarono le cose durante il doppiaggio di Peter Gonzales in “Roma” (che impersonava il giovane Fellini).

In un primo momento fu convocato da me, con l’approvazione di Fellini, il giovanissimo Mattia Sbragia che doppiò tutto il personaggio.

(Pochissime battute, svolte in pochissimi turni, tutte in colonna separata).

Poi doppiammo gli altri personaggi.

Evidentemente, nel risentire il risultato finale delle scene doppiate, in particolare quella all’interno del “casino”, Fellini ebbe dei dubbi e volle ripetere il doppiaggio con un altro attore. Convocammo Renato Cortesi. In fase di missaggio, poi, Cortesi ha diviso con Mattia Sbragia (le voci somiglianti, le scene distanti le une dalle altre), il personaggio del giovane Fellini.

Per cui, all’inizio, Peter Gonzales ha sicuramente la voce di Sbragia, successivamente, (di certo nella scena del “casino”), ha la voce di Cortesi.

Nessuno se ne accorge, io stesso lo avevo dimenticato…acrobazie felliniane!

 

 

 

…dal palcoscenico alla sala di doppiaggio: alla guida di una feconda e duratura conquista del “microfono”…

 

Ho promosso l’ingresso in sala di doppiaggio di una quantità enorme di attori di teatro. Una delle primissime voci che utilizzai fu quella di Monica Vitti con la quale, anni prima, avevo recitato al Teatro delle Arti sotto la regia di Sergio Tofano.

Monica era una giovane attrice di teatro e io ero un giovane direttore di doppiaggio che aveva ufficialmente cominciato la sua professione con il film “Le amiche” di Michelangelo Antonioni. Fu in occasione del doppiaggio del film “Il grido” che gli proposi Monica Vitti per il doppiaggio dell’attrice Dorian Gray.

Poi ci fu Carlo Dapporto al quale ho fatto doppiare Fernandel al fianco di Totò nel film “La legge è legge”, e ancora Adriana Asti, straordinaria a dire il vero, che portai in sala fin dalla fine degli anni cinquanta. La Asti sotto la mia direzione, aveva doppiato Claudia Cardinale ne “I Delfini” e ne “La ragazza con la valigia”, attrice che invece, ne”I soliti ignoti” avevo fatto doppiare a Lucia Guzzardi, in “Rocco e i suoi fratelli” a Luisella Visconti e ne “Il Gattopardo a Solveig D’Assunta.

Del resto, per nessuno di questi film avevamo mai formulato l’ipotesi che la Cardinale si autodoppiasse. Non si trattava tanto del fatto che Claudia parlasse ancora un italiano imperfetto, quanto piuttosto del fatto che per lei era molto faticoso gestire la sua emissione vocale e ottenere il massimo rendimento dalle sue potenzialità. Mi diceva che, durante l’infanzia, non aveva avuto nessuna abitudine a parlare e che non riusciva a guidare con precisione l’espressione verbale.

In seguito, però, fui pregato da Franco Cristaldi (produttore capo della V.I.D.E.S., oltre che marito della Cardinale), di fare tutto il possibile affinché la Cardinale, nel film di Comencini “La ragazza di Bube”, (prodotto per l’appunto dalla V.I.D.E.S.), di cui Claudia era protagonista, fosse in grado di doppiarsi da sola.

Feci allora venire da Grosseto una consulente per curare il leggero accento che Mara, la ragazza di Bube, avrebbe dovuto avere. Per il resto, Claudia doppiò l’intero film, frase per frase, con me sempre al suo fianco che le  suggerivo le battute con la giusta intonazione finché lei non le ripeteva in modo corretto.

Il risultato fu che Claudia, per quel film, vinse il suo primo Nastro d’Argento e che, da quel momento in poi, recitò sempre con la sua voce.

Claudia aveva grandi potenzialità ma la voce è uno strumento delicato e incredibilmente complesso che ha bisogno di una fiducia necessaria a sbloccarsi prima e di educazione, esercizio, perseveranza e manutenzione continua poi…oggi la Cardinale ha una voce stupenda.

Successivamente c’è stato l’intervento di Vittoria Martello, attrice di teatro napoletana molto brava che non aveva mai messo piede in una sala di doppiaggio, alla quale feci doppiare Rosanna Schiaffino ne “La Sfida”, di Francesco Rosi.

Utilizzai al doppiaggio de “I soliti ignoti”, Nico Pepe, bravissimo attore di teatro che pur essendo friulano, interpretò con successo in bolognese il Capannelle del napoletano Pisacane.

Sempre per lo stesso film, convocai Renato Cominetti per doppiare in Siciliano il “Ferri Botte” del sardo Tiberio Murgia.

Al grande attore Turi Ferro affidai il personaggio di Gaspare Pisciotta, interpretato dall’americano Frank Woolf, nel “Salvatore Giuliano” di Rosi.

E poi ci fu Aldo Giuffrè, che doppiò il personaggio di Vito Polara, interpretato da José Suarez, lo spagnolo protagonista de “La Sfida” di Rosi…e ancora Achille Millo, a cui feci doppiare Alain Delon in “Rocco e i suoi fratelli”.

E…ad un rapido sguardo sommario…Laura Adani, Valeria Moriconi, Alberto Lionello, Giancarlo Sbragia, Glauco Mauri, Massimo Foschi, Gianni Bonagura, Giancarlo Giannini, Eros Pagni, Massimo Venturiello, Renzo Montagnani, Cesarina Gherardi, Anna Miserocchi, Paolo Carlini, Romolo Valli, Mariangela Melato, Silvio Spaccesi, Margaret Mazzantini, Mario Maranzana, Massimo Popolizio, Ottavia Piccolo, Corrado Gaipa, Mario Feliciani, Lilla Brignone e molti altri ancora! Insomma, confesso di essere stato responsabile di un massiccia e salutare contaminazione tra teatro e doppiaggio e di aver condotto con orgoglio una cospicua invasione di attori teatrali fino al cuore di un mestiere, fondamentale per il cinema italiano, che si svolge nell’ombra di quell’oscura bottega da artigiani che è la sala di doppiaggio.

 

 

 

 

…all’alba di una lunga collaborazione…

 

A dire il vero, il mio rapporto professionale con Federico, si è instaurato prima ancora che dessi ufficialmente inizio alla mia attività direzionale nell’ambito del doppiaggio. Ho collaborato con Fellini sin dai tempi della lavorazione de “Le notti di Cabiria”, quando facevo ancora l’assistente a Franco Rossi, suo intimo amico e direttore del doppiaggio di quello e di altri suoi precedenti e successivi film.

Ricordo che per “Le notti di Cabiria”, facemmo un doppiaggio “all’aperto” per la registrazione di tutti i numerosi esterni: uno schermo enorme impiantato nei viali di Cinecittà…

 

 

 

… a cielo aperto…

 

Doppiare all’aperto non era per niente una consuetudine. Non saprei dire se fummo proprio noi, con “Le notti di Cabiria”, ad organizzare per primi un doppiaggio in esterno ma è molto probabile. Quello che so è che mi è capitato molto di rado…per  “Le quattro giornate di Napli” di Nanni Loy, che doppiammo negli stabilimenti della Titanus Farnesina - dove, per evitare quanto più possibile il chiasso del traffico della città, doppiavamo da Mezzanotte in poi – e ancora ne “L’Avventura” di Antonioni, che doppiammo alla Fonolux.

Approfittando del fatto che, a quei tempi, la zona dove si trovava la Fonolux, a ridosso di Cinecittà, era periferia estrema e che, dopo una certa ora, imperava un  pressoché “desertico” silenzio, ritenemmo possibile effettuare senza troppe difficoltà il doppiaggio in questione nel giardino adiacente alla sala di doppiaggio.

In quel caso, però, si trattava di battute, come si suol dire, “a vuoto”, ovvero senza bisogno di sinc e, di conseguenza, senza necessità dello schermo.

Bisognava incidere un grido allarmato e pieno di terrore…“C’è un pescecane! C’è un pescecane! Attenti…un pescecane!”

Dopo un po’ di tempo che lanciavamo simili grida da diverse angolazioni, il buio della notte fu rotto a intermittenza dall’illuminazione di qualche finestra qua e là dei palazzi circostanti. Finché…ad un certo punto…non sentimmo avvicinarsi le sirene delle volanti e, in pochi istanti, fummo accerchiati dalla polizia che, qualcuno degli abitanti delle case di fronte, evidentemente allarmato da queste voci terrificanti, aveva prontamente avvertito. E noi, per evitare di essere arrestati con l’accusa di emissione di grida inconsulte e turbamento della quiete pubblica, fummo costretti a nasconderci…e battemmo l’immediata ritirata all’interno della sala di doppiaggio spegnendo di colpo tutte le luci!

 

 

 

…con Fellini in sala di doppiaggio…

 

…un atmosfera da quinta ginnasio o giù di lì…tra giochi, scherzi, battute grottesche e immaginari goliardici.

Il sesso era all’ordine del giorno e costituiva l’asse portante di lunghissime e sonore risate generali. Capitava spesso che Federico, durante il doppiaggio, si mettesse a disegnare vignette e caricature improvvisate e tutte erano sempre popolate da fantasie oscene…un mondo fallometrico abitato da cazzi giganti, striscianti, rampicanti, onnipresenti…

Fellini alleggeriva i lunghi tempi di lavorazione divertendosi a beffare i suoi collaboratori e attribuendogli scherzando presunti cazzi dilaganti di dimensioni inversamente proporzionali a un presupposto quoziente intellettivo!

Io stesso sono stato spesso la divertita vittima di queste burle di Federico che mi ha ritratto più volte in caricature che custodisco gelosamente e che evidenziano…, per così dire, le mie doti sportive di tennista e quelle ehm…di presunto grande amatore …Fellini mi ritraeva inesorabilmente condannato al trasporto in carriola di un enorme e minaccioso pene che era il mio…o ridotto al formato di un microbo compresso sotto il peso madornale di una donna di titaniche proporzioni…!

 

 

…un doppiaggio divertentissimo: “Amarcord”!

 

Quello di “Amarcord” è stato senza dubbio uno dei più intriganti e divertenti doppiaggi da me diretti.

Come non ricordare il contributo eccezionale di Ave Ninchi, nel ruolo de “la madre” interpretata dalla grande attrice napoletana Pupella Maggio…e quello di Corrado Gaipa che, pur essendo siciliano (voce di Lancaster ne “Il Gattopardo”), doppiò stupendamente “il padre”, interpretato da Brancia. E il delizioso Fausto Tommei, doppiatore del nonno. Enzo Robutti, doppiatore dello “zio” matto, interpretato da Ciccio Ingrassia. Paolo Carlini, nel “Patacca” di Nandino Orfei. Il giovane Piero Tiberi, doppiatore di Titta. Adriana Asti…stupenda “Gradisca” interpretata da Magalì Noel. Marcello Tusco per “Ronald Colman”. Solveig D’Assunta per “La Tabaccaia”…e tutti quei personaggi apparentemente secondari doppiati magistralmente da un grandissimo Oreste Lionello, (quali Biscein, Giudizio, il Professore di Greco, il Federale ecc.)

Per non parlare degli stupendi interventi di Silvio Spaccesi, Mario Feliciani, Isa Bellini, Gigi Reder,  Carlo Baccarini.

Poi ci fu il reclutamento delle voci romagnole in loco: un mio personale sopralluogo in Romagna a caccia di voci veraci organizzato da Tonino Guerra e affidato sul posto a basisti locali che mi condussero presso varie filodrammatiche e gruppi amatoriali di alcune cittadine della regione.

Avevo con me frammenti di copione del film e un registratore “Nagra” con cui incisi una grande quantità di “voci” che portai a Roma e feci ascoltare a Federico.

Ne scegliemmo una dozzina e facemmo arrivare dalla Romagna i relativi proprietari con un pulmino. Se ben ricordo si trattava per lo più di un gruppo di ragazzi e di qualche ragazza. Il pulmino li scaricò nei pressi della “International Recording”, in Via Urbana, dove rimasero tutti accampati per un po’!

Non tutti, alla fine, presero effettivamente parte al doppiaggio, tuttavia si mostrarono felici di essere a Roma e gratificati dalla vicinanza del “loro” Fellini.

 

 

…qualche piccola trovata…

 

…suggerii una particolare caratterizzazione per il personaggio di Biscein, “il ballista: chiesi a Oreste di provare a ripetere la sillaba finale di ogni discorso…”Carrube…ube!”, oppure, “In America ho visto delle fogarazze alte centosei metri…etri!”

Oreste, con le sue doti stregonesche, colse al volo il mio suggerimento, lo fece suo e lo eseguì in modo superlativo. Fellini ne fu entusiasta.

“Io sono figlio di Americani…ani”!

In questo modo pareva quasi che le balle che diceva rimbalzassero all’ indietro, che gli si rivoltassero contro insomma.

In realtà, questa idea, non scaturiva da una mia invenzione, bensì dalla memoria di un povero picchiatello, (incredibilmente somigliante a Biscein), che, durante gli anni della mia infanzia, girava per Piazza San Cosimato e per le strade adiacenti parlando da solo ripetendo sempre le ultime sillabe delle sue frasi.

Si chiamava Angelino e i vecchi abitanti del luogo certo lo ricordano ancora.

Oreste Lionello, in tutte le sue prestazioni in “Amarcord”, eseguì un ricamo di particolari unici, frutti della sua straordinaria bravura, che resero il copione di Tonino Guerra e Fellini ancora più prezioso di quanto già non fosse.

Un piccolo esempio…?

Ascoltando per un attimo il principio del film: “Le manine s-coincidono nel nostro paese con la primavera” …in quella piccola “s”…si ritrova immediatamente un geniale tentativo di spiegare e arricchire un verbo che all’analfabeta pare poco esaustivo.

 

 

…la parlata di  “Ronald Colman”…

 

…si trattava del personaggio del proprietario del Cinema Fulgor, ribattezzato dagli amici “Ronald Colman” - per una presunta somiglianza con l’attore americano – doppiato, a seguito di una difficile scelta da Marcello Tusco.

Mi venne in mente un certo modo di parlare e di atteggiarsi di quelli che erano i playboy di quartiere a Roma nel primissimo dopo guerra, i quali, per fingersi ormai “a livello internazionale”, erano soliti parlare un italiano che risultava contaminato dalle influenze anglofone. Invece di dire “Quanti anni hai piccola?” dicevano ad esempio: “Cuani ani hai picola?!” Cose così insomma…!

Mentre esponevo queste memorie a Federico, a lui vennero in mente le sue telefonate intercontinentali con un grande produttore napoletano che si era trasferito in America. Non solo questi sosteneva di aver scordato i fusi orari, ma pure di non ricordare più bene l’ italiano…

”Como dite voi in Italia…?” chiedeva non trovando la parola che evidentemente gli occorreva. Mentre manteneva nella sua pronuncia la cadenza di Torre Annunziata.

Nella parlata di Ronald Colman, oltre a quella dei playboy trasteverini, unimmo anche quella del grande produttore italiano impiantato in America.

  

 

…tanto per giocare…

 

Avevo personalmente dato voce a tanti personaggi minori in Roma…tra cui il venditore dei biglietti di una lotteria alla stazione Termini che, all’arrivo nella Capitale del giovane Fellini, Peter Gonzales, sbandierando sempre un solo biglietto, dopo aver nascosto gli altri sotto il banco, gridava: “E’ l’urtimo! E er più affortunato!”

E poi Federico, sempre secondo la sua personale interpretazione di me come inguaribile donnaiolo, mi fece fare, in “Amarcord”, l’Emiro al Grand Hotel con trenta concubine da chiudere sotto chiave! Avevo un paio di battute nella Hall. 

“Oh la Brunette, elle est mariée? “ e poi discettava

“La différence qu’il y a entre la femme du chimpanzé et la mosquée de Bagdad… 

Una voce appena udibile, “accavallata e di spalle”, per la quale, il mio francese da pied noir, era perfetto. E, tanto per farci due risate, qualche voce in Ginger e Fred…

E poi…chi si ricorda più!

 

Ma la dimensione del gioco era sempre presente e spesso ci ritrovavamo a ridere come liceali di giochetti linguistici e storielle esilaranti tipiche dell’età scolastica!

Durante il doppiaggio de “I Clowns”, ad esempio, facemmo incidere per gioco al personaggio femminile - che doveva salire le scale di casa di un Clown francese che attendeva di essere intervistato - una battuta divertentissima relativa a una storiellina realmente accaduta e basata sulla conoscenza squisitamente maccheronica della lingua transalpina: volendo dire “mi perdoni se salgo lentamente le vostre scale ma sono costipato!” - intendendo raffreddato - il tipo in questione disse ”Excusez moi si je dois salir sì lentement vôs escaliers mais je suis un peu constipée!” Solo che “salir” in francese non significa “salire” ma “sporcare”, e “constipé” non significa “raffreddato” bensì “che ha la diarrea”!

Quindi l’intervistatrice felliniana del clown francese, nel corso di una scherzosa registrazione, si era rivolta a lui, che l’attendeva un piano più in alto, nel modo seguente: ”Voglia scusarmi se sporco così lentamente le Sue scale ma ho un po’ di diarrea!”

 

 

…una terribile gaffe…

 

Durante il doppiaggio di Roma, fummo responsabili di una gaffe davvero  tremenda! Avevo fatto venire la sorella di un’attrice che aveva una voce romana molto grezza, plebea, perfetta per molti personaggi del film. Era una maestra di scuola elementare, che, tutta contenta, si era portata dietro la figlia gia grandicella, orgogliosa di mostrarle che lavorava per il leggendario Fellini.

Non so se per timidezza o per emozione, faceva difficoltà ad eseguire quanto le richiedevamo per un particolare personaggio. Finché Federico, spazientito, dalla regia, non sapendo che il microfono di connessione con la sala era acceso…

”Ma tu guarda sta stronza...!” ed esplose in una esemplare serie di variegati e pesanti insulti rivolti a questa poveretta.

Mentre tutti rimasero immobili e ammutoliti, corsi in cabina Regia per bloccare Federico e spegnere l’interfono.  Cercai naturalmente di minimizzare, di sdrammatizzare il tutto tanto con lui quanto con la malcapitata doppiatrice occasionale! Ricordo però che Fellini fu letteralmente sconvolto da questo incidente, la coscienza di aver involontariamente offeso quella donna, alla presenza, tra l’altro, della figlia, gli provocò un turbamento davvero profondo. Superstizioso com’era, si era convinto che quanto era accaduto portasse con se il presagio di chissà quale disgrazia imminente ed era terrorizzato dal fatto che non sapeva come rimediare…!

Si fece dare l’indirizzo e il telefono di quella poverina e cominciò a sommergerla di mazzi di fiori…non riusciva più a darsi pace.

 

  

…la versione francese di Amarcord…

 

In un primo momento non era stato possibile per me partecipare al doppiaggio in francese di Amarcord, questo perché, nel periodo in cui esso veniva effettuato a Parigi, io ero impegnato nello svolgimento di un altro complicatissimo lavoro: la versione italiana de “L’ Esorcista” di Wiliam Friedkin.

Non appena fui libero da quel film Fellini e Cristaldi mi spedirono immediatamente in Francia. Federico aveva già ricevuto da Parigi una bobina che conteneva una parte del film doppiato fino a quel momento: il suo ascolto lo aveva gettato nello sconforto, nella rabbia e nel panico più totale. “Ti prego Mario, vai subito a Parigi e provvedi! Questi mi stanno massacrando Amarcord!”

Ricevetti quindi da Fellini e Cristaldi l’incarico di intervenire in qualsiasi modo avessi ritenuto opportuno.

I francesi, quando Federico aveva categoricamente intimato l’alt da Roma, avevano già terminato il mixage ed erano pronti per la stampa delle copie.

 

A prescindere dal fatto che io sono generalmente pignolo fino all’esasperazione, anche più degli stessi registi autori dei film affidatimi, c’era anche il fatto che consideravo la versione italiana di “Amarcord” un vero e proprio frammento della mia anima, un gioiello unico di straordinaria e irripetibile fattura.

Non avrei mai potuto immaginare lo scempio, l’offesa che i responsabili di quella versione francese avevano recato al nostro film.

Come spesso accadeva in Francia durante quegli anni, avevano dato l’appalto dell’edizione francese di “Amarcord” ad un piccolo studio il cui proprietario aveva, per così dire, fatto tutto in casa: traduzione, adattamento, cast delle voci, direzione…davvero senza pudore!

Il direttore aveva avuto per esempio l’incredibile faccia tosta di far doppiare il protagonista, “Titta”, a sua figlia…una voce chiaramente femminile su un ragazzetto ben in carne che per tutto il film si spara delle grandiose seghe e si vuole fare “La Tabaccaia”! Un obbrobrio! Tutto il resto era sullo stesso piano!

Ricordo che per un attimo provai il desiderio fisico di strozzare quel signore…”Ma lei come si permette” gli urlai.

Qualcuno mi lasciò intendere che mi avrebbero trattato con gratitudine se avessi un pochino chiuso un occhio…io mi indignai ancora di più.

Dissi che era tutto completamente da rifare e  imposi con determinazione che fosse tolto l’appalto a quello stabilimento…cominciammo da zero a lavorare presso un nuovo studio. Ripartimmo dalla traduzione, facemmo rifare l’adattamento a professionisti qualificati, scegliemmo ad una ad una tutte le voci!

…ricordo con simpatia l’adattamento di una delle battute che amavo di più - quella del “nonno” che cerca un cespuglio per orinare e sentenzia di buon grado: “Per viver sano // bisogna pisciar spesso // come il cano!” che, in francese, diventò: “Pour se porter bien // il faut pisser souvent // comme le chien !“

 

 

 

…una impossibile collaborazione…

 

Torno ai tempi de “Il Casanova”…tempi che aprirono una lunga, sofferta crepa, sul terreno di una collaborazione che era stata, fino a quel momento, fluida e straordinaria…

Fellini arrivò alla post-sincronizzazione di quel film davvero stremato, non lo avevo mai visto così stanco e nervoso. Non faceva che parlare di Donald Sutherland e ripeteva continuamente: “Come lo odio questo!”

Le riprese del film dovevano essere state un vero calvario tanto per Sutherlan quanto per Fellini.. Quella clausola contrattuale, secondo la quale Fellini si era visto costretto a girare tutto in lingua inglese, lo aveva sicuramente irritato e aveva moltiplicato la sua fatica.

Il metodo di lavoro di Fellini era così distante da quello delle majors company americane a cui Sutherland era abituato che le incomprensioni e gli scontri sul set dovevano essere stati veramente tanti..

Facemmo tre provini per il protagonista: Giancarlo Giannini, Alberto Lionello, Gigi Proietti. A mio avviso, Alberto Lionello, era eccezionalmente giusto su quel personaggio. Possedeva una vocalità “lunare”, dotata di quel pizzico di follia e di stravaganza che avrebbero reso in modo superbo la verità interiore del Casanova felliniano.

Fellini, invece, preferiva la voce di Gigi Proietti. Forse fu la travolgente e innegabile simpatia di Gigi, forse quel sostrato romano che Fellini amava così tanto…

Forse, la stanchezza accumulata per colpa della lingua inglese e delle incomprensioni con Sutherland, avevano gettato Federico in una voglia di linguaggio familiare, in un desiderio di “ritorno a casa”, confortevole e riposante. Personalmente lo ritenevo un errore ma Federico fu irremovibile. Gigi godeva, del resto, di tutta la mia stima…ma non mi sembrava adatto per quella parte: troppo carnale, troppo terreno, troppo sanguigno, troppo radicalmente “romano”.

Non mi ero mai trovato in una situazione del genere: dover dare il mio contributo ad un lavoro che personalmente ritenevo sbagliato nella partenza: cioè nell’assegnazione dei ruoli. Non riuscivo a dare il mio apporto utile come in tutti gli altri doppiaggi. Il mio disagio era evidente. Fellini lo percepiva e ne partecipava. Continuando così non avremmo fatto un buon servizio al film e quindi, per la prima ed unica volta nella mia vita, per onestà intellettuale e correttezza professionale, decisi di uscire di scena…il lavoro, per lo meno, sarebbe filato liscio.

Adoravo Fellini…lo conoscevo da un tempo così lungo…fu una separazione vissuta con molta amarezza…

 

 

 

…verso la riconciliazione…

 

Tra Federico e me trascorse almeno un anno di vuoto e di assoluto silenzio finché, una sera qualunque, durante una cena di dopo teatro in uno di quei ristoranti che restavano aperti fino a molto tardi, lo incontrai casualmente.

Lui entrò con Tonino guerra e io stavo cenando in compagnia di una amica. Lo vidi con la coda dell’occhio ma feci finta di niente. Lui si fermò alle mie spalle e dandomi un colpetto sulla spalla mi disse: ”Che fai Mario, adesso non mi saluti neanche più!?”

Per cui io, mentendo spudoratamente: “Ah ciao Federico…scusa, non ti avevo visto!”

Non che volessi ignorarlo, ma ero comprensibilmente imbarazzato…

Federico non era  tipo da perder tempo con tanti “salamelecchi”, come diceva lui!

Il giorno successivo a quell’incontro imprevisto mi chiamò per propormi di seguire la versione francese di “Prova d’Orchestra” che aveva già fatto in Italiano affiancato da Baccarini.

Facemmo tutto il lavoro a Cinecittà…quasi interamente con attori italiani che non parlavano davvero un gran francese! Fu una divertentissima cialtronata dove toccò anche a me personalmente di dare la voce a diversi orchestrali! Oreste Lionello, che aveva fatto il direttore d’orchestra tedesco nella versione italiana, lo fece stupendamente anche nella versione francese! A Roma c’erano diversi attori francesi, di cui non ricordo i nomi, che avevo già utilizzato durante il doppiaggio “I Clowns”, che collaborarono pure in quell’occasione.

Anche Livia Giampalmo si ridoppiò in francese! Il risultato fu un raro esemplare, molto ben riuscito, di finzione, di espressività vocale squisitamente fasulla…una sagra di strafalcioni scelti e realizzati con tale cura da rendere tutto comprensibile e divertente anche per un pubblico esigente come quello francese!

 

 

…l’appello di Giulietta…

 

Quando Federico mi chiamò per il doppiaggio di Ginger e Fred mi mostrò un’insistenza davvero sorprendente…mi telefonò diverse volte, mi pregò di accettare, di spostare i miei impegni, insomma di trovare la maniera per essere presente in sala!

Era soprattutto per Giulietta, era lei a fare una così grande pressione: mi voleva come guida…e mi voleva pure come filtro, come mediatore tra lei e il regista, ovvero suo marito. 

Spesso, quando il regista è il marito o il compagno della protagonista, il lavoro assume un tono di conflittualità che complica molto le cose. Si è solitamente più insofferenti nei confronti delle persone care, ci si controlla meno, non si perdonano gli errori…ecco perché, in casi simili, la presenza filtrante del direttore di doppiaggio diventa fondamentale.

Giulietta era una grande attrice, bravissima. Aveva una voce calda, un po’ “usata”, piena di quelle “sporcature” estranee alla formazione accademica che sono invece così ricche di  fascino.

Mi sarebbe piaciuto utilizzarla per certi film americani…ne parlammo anche una volta e lei mi disse che si, le sarebbe piaciuto, se si fosse presentata un’occasione importante…

Alla fin fine, però, non trovai mai l’occasione giusta per chiamarla.

Il fatto è che, pensandoci bene, ho sempre avuto un gran timore di assegnare ai volti di attori stranieri voci troppo riconoscibili, voci che il pubblico è abituato ad abbinare a personaggi noti del panorama italiano…

 

 

…l’”incarnazione” delle voci: il potere di un illusione…

 

Il segreto fondamentale su cui si misura il buon esito di un doppiaggio sta, innanzitutto, nella misura in cui si sia riuscita a creare l’illusione per la quale il pubblico è inesorabilmente portato a mantenere la certezza inconsapevole che quella voce che sente nasce realmente da quel corpo che vede!

Che, ad un certo punto, quel corpo, quel volto, quel personaggio non potrebbe esprimersi diversamente da come si esprime.

E’ per questo che è pericoloso dare voce a personaggi di film stranieri attraverso la vocalità di attori inequivocabilmente riconoscibili…

 

   

 

...l’ultima magia…

 

Ginger e Fred fu l’ultimo incantesimo felliniano che ebbi l’onore di dirigere!

Poiché i “sosia”, protagonisti del film, erano stati scelti proprio sulla base della “sgangheratezza” e dell’improbabilità delle loro prestazioni, utilizzammo un metodo di lavoro del tutto diverso da quello di “Amarcord”- dove la somiglianza tra la voce e la faccia era il dato principale che doveva essere rispettato - e decidemmo di far incidere gli attori, (che per lo più si doppiavano da soli), senza fermarli, in una sorta di loop che interrompevamo qualora ci rendevamo conto di aver ottenuto un qualche effetto comico.

Uno dei momenti più faticosi riguardò la scelta della voce del tran-sessuale.

Fellini, fin dai tempi de “La dolce vita”, era sempre stato molto attento alle voci degli omosessuali. Era incuriosito e affascinato dall’”ambiguità” e dal tipo di espressività che gli era propria. Facemmo diverse ipotesi, Federico mi fece anche il nome di Carmelo Bene ma non mi pareva per nulla adatto. Non sapevamo da che regione far provenire il personaggio, se fargli parlare l’emiliano, il napoletano, il romano…alla fine Federico si orientò verso uno di quei dialetti bastardi in cui si rifugiava spesso, con degli accenni napoletani ma che avrebbe potuto provenire anche da molto più su di Napoli. Scegliemmo un giovane attore dala voce dolce: Marco Bresciani.

Parlando di “dialetti”, così come di parlate omosessuali, Fellini aveva sempre il timore di cadere in una qualche retorica, in una pesantezza che invece aborriva…

 

Federico mi cercò ancora sia per “La nave va” che per “La voce della luna”, ma i suoi tempi di lavorazione purtroppo  non coincidevano con la mia disponibilità…peccato!

 

 

 

…”un’ autre aventure française!”…

 

Fui incaricato da Federico di seguire fin dal principio anche la versione francese di Ginger e Fred. Fu un avventura “parigina” faticosa ma estremamente piacevole…

Sarebbe stato bello utilizzare le voci di Marcello e di Giulietta anche in francese…la loro straordinaria bravura gli avrebbe certo permesso di portare a termine un doppiaggio unico anche in una lingua diversa. Il piccolo accento italiano si sarebbe magari potuto giustificare premettendo che si trattava di una coppia di ex ballerini di origine italiana…

Il fatto è che l’intera operazione avrebbe comportato un dispendio di tempo, e un aumento di costi di gran lunga superiore, il che, purtroppo, quasi mai corrisponde alla disponibilità delle produzioni…! Peccato!!!

 

Ricordo lo stupore che mi spinse a bloccare le registrazioni quando mi accorgevo di certi errori che erano stati fatti nell’adattamento del testo. Si trattava di errori dovuti ad una incomprensione del dialogo originale che, di conseguenza, era stato nettamente travisato…

…ecco l’ammiraglio sofferente per il suo cuore malato, accompagnato costantemente dall’infermiera…

Proprio lui, nella versione originale, riceve dall’infermiera la seguente esortazione: ”Ammiraglio, la prego, la mandi giù, le chiudo io il naso…su, coraggio, che poi la signora se la prende con me!” riferendosi ovviamente alla pillola per il mal di cuore! E proprio a lui, nella versione francese, secondo un primo adattamento, l’infermiera aveva finito per dire: “Admiral, je vais vous pincer le nez, allers, courage,…autrement madame et moi on doit la prendre ensemble!”

Che fatica spiegare il pasticcio e portare l’infermiera a dire: “elle (madame) va se fâcher avec moi!”

 

 

 

…un grande dono…

 

fu in un giorno qualunque, senza nessun preavviso, che Federico mi disse con leggerezza: “Ti chiamerà Stanley Kubrick! Mi ha chiesto chi avrebbe potuto dirigere la versione italiana del suo nuovo film Clockwork Orange…gli ho detto Mario Maldesi!”

Devo a Federico il mio straordinario rapporto di collaborazione con Stanley durato fino alla sua morte…un prezioso dono di inestimabile valore!

Ricordo che, appena terminato il difficilissimo lavoro per la versione italiana di Arancia Meccanica, organizzai una proiezione del film per gli amici che lavoravano nel settore, tra cui naturalmente c’era anche Federico.

Dopo pochi minuti, Fellini, si alzò in perfetto silenzio e se ne andò!

Ovviamente il gesto non poté passare inosservato…

Solo molti anni dopo seppi che aveva telefonato a Kubrick il giorno dopo scusandosi sinceramente per il suo gesto e spiegando che per lui era impossibile riuscire a sopportare la sofferenza che gli procurava la visione di certe scene!

Non si trattava di uno sgarbo ma di una reazione più forte di lui…la fuga dinanzi ad un capolavoro così magistralmente diretto da far sentire violentata fin nei meandri più remoti un’anima, estremamente sensibile, che viveva creando meravigliosi mondi a sua immagine e somiglianza…

 

Arrivederci Federico, e grazie!

Marione